con il mio corpo di battaglia

con il mio corpo di battaglia

qui

i miei lividi azzurri

e gli occhi

chiusi

vivo

adesso

alla facciaccia vostra

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Ancora Napoli

Mi sveglio nella stanza nuova, a Roma, pensando alla città mia: cosa le resterà di questo scudetto? Sarà la consacrazione definitiva della mercificazione di Napoli o il sussulto di dignità di un popolo che riscopre il suo carattere ingovernabile e la sua identità oltre le dinamiche del capitalismo? E se io non avessi partecipato abbastanza ai processi di trasformazione della metropoli per riuscire capirlo?

Ha senso festeggiare l’amore sconfinato per una città che smette lentamente di esistere? Per una sedicente identità ribelle, la cui presunta irriducibilità al pensiero dominante è quotidianamente smentita dalle logiche del profitto, perlopiù turistico?

E mentre penso a tutto questo, ragiono sulle scadenze di fine aprile, e osservo che fare l’andata e ritorno in giornata col regionale è uno sbattimento, che la Lazio può vincere e che sto rimandando le pulizie di primavera da due mesi.

Ma le mie mani iniziano a cercare una maglia azzurra nell’armadio, dal telefono partono D’Angelo, Liberato, Ricciardi eccetera, il mio culo si siede motu proprio su un trenino per Termini e poi su un regionale per Napoli.

Sono scesa, e ho visto gente felice di riprendersi le sue strade. Spero d’aver visto bene perché, se ho visto bene, questo mi basta.

Pure se abbiamo pareggiato, pure se ho passato un’ora alla stazione a fare le tarantelle per salire su un regionale stracarico, pure se la camorra, il neoliberismo, i turisti si sono mangiati il mio quartiere e la mia casa, e non mi hanno lasciato che poche ossa su cui piangere.

Napoli.

Finché queste tre sillabe continueranno a valere di più di tutti i miei, di tutti i nostri ragionamenti, finché ci guiderà l’amore per un’Idea di questa città – ognuno ha la sua, ma ognuno ne è comunque ossessionato – finché per Napoli si piangerà e si proverà rabbia e si esulterà e si amerà e si odierà, mi dico, l’uovo di Virgilio è salvo.

Ho dubitato, però oggi credo che Napoli esista. E si difenda. Ancora.

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appunti di lavoro

Dove lavoro io c’è un bambino di otto anni che di solito passa tre ore di doposcuola consecutive a sbiascicare cazzoculoculocazzocazzonelculoculonelcazzopornazzipornazzitumadrebocchini

pompinicazzoculocazzo. Tipo mantra. Oggi abbiamo letto il GGG di Roal Dahl e si è, tipo, incantato.

Abbiamo parlato di brume lattiginose, di bagliori argentei, di sguardi che errano e venti che mugghiano. Mi ha chiesto che cos’è un individuo, gli ho dato una risposta un po’ così. Mi ha chiesto come funziona una biblioteca, e cosa succede se non riesci a riportare i libri nel tempo stabilito.

Poi siamo dovuti tornare sul testo di scuola, con una filastrocca insipida su un laghetto che cambia colore a seconda delle stagioni. Allora lui mi ha detto che non voleva leggere e ha ricominciato con la sua nenia di cazziculi e culicazzi.

Scrivere libri idioti per creature intelligenti, educare i bambini a sopportare diligentemente la mediocrità e la noia, ho pensato, è il più reazionario dei torti all’umanità.

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amare napoli

Non vergognarti quando odi Napoli, perché solo chi l’ha maledetta almeno una volta può dire di amarla veramente.

Napoli è di chi ci si piglia collera, è di chi si fa il sangue amaro, di chi trattiene e di chi non trattiene le lacrime, di chi stringe i denti e odia pur di continuare ad amare. Di chi conosce i soprusi della camorra e il razzismo dello stato, ma ogni mattina si sveglia e decide di brandire il proprio accento come un vessillo sdrucito di resistenza.

Napoli è di noi che in mente le giuriamo “per sempre” pure se teniamo già un piede sul motore, pure se poi il destino ci separa, è di chi non la lascia mai e di chi la lascia ma non smette di sognarla nelle notti milanesi, tedesche, americane. Perché a volte Napoli non basta, perché vuoi smettere di abbassare la testa, dare un quadrato di verde ai tuoi figli oppure essere solo riconosciuta come essere umano quando lavori, quando parli e quando fai tutte le cose.

Non fidarti di chi ti dice “beata te che sei di Napoli”. Non fidarti di chi ti dice che Napoli è bella senza ma. Chi può dire di amare una città, o una persona, senza detestarne profondamente il dolore e la malattia? Massimamente diffida di chi ti dice: “Napoli, fantastica, ci vivrei”. E subito aggiunge: “per un periodo”.

Amare Napoli non è una vacanza. Tu puoi andare e tornare da Napoli, ma se la ami sinceramente non ti liberi mai dall’assillo di una nostalgia colpevole. E questa è una benedizione e una condanna.

Napoli, amica mia, è di chi la ama nonostante. Gli altri possono al massimo fotografare le sue mutande, appese ai fili tra i nostri balconi. Gli altri sono spasimanti, corteggiatori, tuttalpiù innamoràti.

E innamorarsi è facile, dice il maestro. Il difficile è restare fedeli all’amore.

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un’altra fottuta poesia su quella-cazzo-di-città

Napoli, chi ti parte non può più riaverti indietro

e per sempre è perduto chi tradisce, e io ho tradito

per qualche briciola di libertà e pochi denari.

Ti penso brutta a tratti, soffocata dai tumori

penso che sto scappando per non dirti addio

 

odio quei tavolini proprio sul mio primo bacio

l’odore di frittura l’arancione degli spritz

massimamente odio il tuo sguardo inquisitorio

 

te ne sei andata tu, non solo io

per ricordarti meglio vorrei ucciderti, in cuor mio

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Protected: Un negozio caro

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annunci occitani

Cerco un ragazzo che si chiama Charles

Ero seduta a una panchina alla stazione

e lui cercava il cuore

Per dirmi je vous ai trouvée jolie

ho finto di guardare il cellulare

perché di solito si fa così

Quando ho capito che non era un animale

Era già lontano, imbarazzato e triste

Resta la voglia di berci un caffè

anche se è troppo giovane per me

Cerco un ragazzo che si chiama Charles

 

Cerco Selim, se qualcuno lo vede

Che mi pagò il biglietto quando vide che piangevo

Davanti a un controllore che non ci cascava

Lui ha fatto l’insegnante, ma non gli è piaciuto

È un operaio, dans le bâtiment

Selim ci casca, lui, gli dico grazie

E mi vergogno, ma non so come pagare

ma ora lo so e mi voglio sdebitare

però mi accorgo delle cose troppo tardi

Cerco Selim, se qualcuno lo vede

 

Cerco una bimba che si chiama Stella

Mi ha scritto un bigliettino in italiano

Con tenerezza che solo i bambini sanno

Avrei voluto dimostrarle più entusiasmo

Ma ho assecondato il suo perfezionismo

ok, l’ortografia può migliorare

Ma sei perfetta tu, spero ti basti

Con l’acne in faccia e con la macchinetta

Cerco una bimba che si chiama Stella

 

Cerco una donna con le spalle curve

forse è ancora bloccata alla stazione

a inseguire treni che non sa per dove

o forse si è nascosta in bagno per fumare

e per non farsi interrogare sull’amore

o sta frugando in borsa, ed è una scusa

per ignorare un cielo luminoso

 

con un maglione verde, con le labbra secche

cerco una donna che

si chiama me

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Il giardino

dicevi

voglio crescere un giardino

ed hai piantato te soltanto

su un muro bianco

non è nato niente

 

Dicevo

raccogliendo storie

voglio seminare vento

sto coltivando un ego

rampicante

 

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Fogli

Ti ricordi di noi

Io piccolina, sullo sfondo

e poi tu grande in primo piano

e poi il contrario

e poi

 

l’umore alto

le luci basse

chi legge adesso?

le tue agendine spesse

i miei fogli in disordine

 

le nostre carte

quasi in regola

per crederci immortali

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Per un ragazzo dei Quartieri Spagnoli

Perché voi non vedete due occhi grandi di ragazzo?

 

Forse non siete stati mai con un inferno dentro

non siete stati mai con tanta gente contro

non siete stati mai detti animali con disprezzo

 

Davvero non vedete due occhi tristi di ragazzo?

 

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  • Delirio Manifesto

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    la poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve (Mario Ruoppolo)

    Poesia, altro vizio solitario (Camillo Sbarbaro) liberetutti

    Nuestros cantares no pueden ser sin pecado un adorno.
    Estamos tocando el fondo. (Gabriel Celaya)

    adesso// mi è onore indifferente// generare rime prodigiose// ciò che mi importa è solo// far dannare alla grande i borghesi. (Vladimir Majakovskij)
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    Fondamentalmente non mi interessa molto la poesia che parla solo di frutta e belle scenografie. Mi interessa la poesia che affronta questioni più ampie, questioni di vita e di morte, ecco, e il problema di come comportarsi a questo mondo, di come andare avanti a dispetto di tutto quello che ci accade. Perché il tempo è poco, e l'acqua si sta alzando. (Raymond Carver)

  • Si soffre di ghurba come si soffre di asma, non c’è cura, e i poeti soffrono ancora di più. La poesia in se stessa è già ghurba. (Murid Al-Barghuthi)