Diceva Lenin, quando le condizioni per la rivoluzione non si verificano, bisogna studiare.
O forse lo diceva Gramsci.
In ogni caso, lo dicevano i nostri genitori, prima di votare PD.
Me, almeno, mi hanno fregata così.
Il cambiamento bisogna conoscerlo, prima di crederci. Bisogna capirlo, non ci si può fidare a pelle.
E abbiamo deciso di studiare, di raccontare, di ricercare i movimenti.
Sperando ardentemente di trovare il nostro.
Abbiamo scritto articoli, tanti. Con qualche laurea in cornice, quattro spiccioli in tasca. Ci hanno letto mamma, papà, gli amici stretti.
Con gli occhi nei mirini, le mani sulle telecamere, i pugni chiusi, le dita sul registratore, sulla tastiera, le dita ad accarezzare la faccia evanescente della rivoluzione con la r minuscola.
Stavamo lottando e forse non ce ne accorgevamo nemmeno.
Ci dicevamo compagni, con un po’ d’imbarazzo. Ce ne siamo stati da parte, ma sempre dalla parte degli sfruttati. Compagni di chi? Compagni da soli.
Senza un partito, forse non ne sentivamo la mancanza. Senza un giornale di riferimento, nostro malgrado. Senza patria, fieramente.
Per questo eri come noi, almeno, questo mi sento nel cuore, anche se eri migliore.
Ora però mi sembra ch’è cambiato tutto, e non riesco a non pensarti.